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Le Antologiche

Trento Longaretti

4 Aprile - 16 Maggio 2004
Palazzo della Cultura, Piazza Europa 19 - Bozzolo (Mn)

di Claudio Rizzi

La soddisfazione generata dalla nuova edizione del Premio d'Arte Città di Bozzolo, rinato dopo molti anni di silenzio e intitolato a Don Primo Mazzolari, secondo volontà unanime espressa dalla Cittadinanza e dall' Amministrazione Comunale, si rinnova oggi nella mostra dedicata a Trento Longaretti.
In coerenza al progetto strutturale del Premio, che tra le altre sezioni artistiche accoglieva una schiera di Maestri fuori concorso, era prevista la realizzazione di una mostra antologica da dedicarsi all' artista prescelto dalla Giuria. Cinque pittori di grande valore hanno aderito al nostro invito e partecipato alla rassegna. Non si trattava di competizione ma di collaborazione ai nostri intenti di motivazione all' arte e documentazione della contemporaneità..
Ringraziamo Enzo Bellini, Renzo Bussotti, Giancarlo Cazzaniga e Romano Notari, oltre naturalmente a Trento Longaretti.
Presenze «inter pares», tutte meritevoli di approfondimento espositivo e di maggiore conoscenza. Tra gli auspici pulsa anche il desiderio di offrire ai nostri cittadini mostre culturali e motivi di incontro. Il successo che ha contraddistinto questa prima esperienza potrà risultare incentivante alla continuità di programma.
Oggi accogliamo Trento Longaretti rendendo omaggio alla sua magistrale poetica in pittura e ai profondi valori etici espressi anche nella lunga carriera di insegnamento e di Direzione dell' Accademia Carrara di Bergamo.
A Longaretti rivolgiamo a nome della città di Bozzolo il più sentito benvenuto e il nostro ringraziamento per la disponibilità e la collaborazione riservate ai nostri pro getti e al nostro pubblico.
Questa mostra conclude la prima edizione del Premio tracciando un esempio e delineando un programma anche per le future Amministrazioni ma soprattutto riportando nella città di Bozzolo e tra i suoi cittadini, l'interesse e la passione per l'arte contemporanea che negli anni Cinquanta, grazie a Don Primo Mazzolari, connotava la nostra Comunità caratterizzandola a livello regionale e nazionale.
Un ringraziamento per il sostegno attribuito all'iniziativa si rivolge calorosamente al professor Ettore A Albertoni, Assessore alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia, e al professor Roberto Pedrazzoli, Assessore alla Cultura della Provincia di Mantova, unitamente ai collaboratori istituzionali e volontari che con entusiasmo ed energie hanno garantito la migliore realizzazione del Premio.
Simbolicamente ci affidiamo alla coerenza dell'intenso percorso artistico di Trento Longaretti per augurare a questa nuova fase culturale della nostra città un cammino ricco di dialogo, dibattito e futuro.

Nel corso della Seconda Guerra mondiale, chiamato alle armi, Longaretti è inviato sul Fronte balcanico, Albania e Kosovo. Causa la limitata diffusione della fotografia oppure la scarsità di mezzi tecnici, ancora in quel tempo veniva demandato a disegnatori e artisti il compito di documentare immagini, popolazione e realtà di quelle terre.
Il reportage si delineava a matita su taccuini da viaggio. Nei tardi anni Novanta, quando l'instabilità della regione, dopo le guerre arse in Croazia e Bosnia, infiamma il Kosovo, i documentari che approdano nel mondo occidentale testimoniano immagini analoghe a quelle tracciate cinquant'anni prima nei fogli di Longaretti.
Come se laggiù il tempo si fosse fermato, perché Eboli non è una sola. Ma ancor più perché in quei disegni Longaretti aveva colto valori universali, che non appartengono solo a un'epoca né a un popolo ma ritraggono un lato dell'umanità che non muta ed anzi si perpetua nella povertà, nell'esodo, nell' apolidia.
Un arco di tempo, e mezzo secolo non è poco, che induce a riflettere sulla persistenza di una realtà in confutabile ma anche sulla lunga, intensa linea di coerenza di Trento Longaretti. Che da quei temi non ha tratto esplicita narrazione né ripetitività descrittiva ma ha filtrato sintesi, senso e invenzione, ha intessuto immaginario e verità nei toni di grande poetica. Girovaghi, viandanti o profughi, i suoi personaggi percorrono un mondo di solitudine, viaggiano nella povertà simboleggiata dalle poche cose disadorne che recano con sé, attraversano ampie campiture di lontane prospettive confidando nel futuro ancora illuminato da intima speranza. Nella formazione di Longaretti certo ha influito il grande magistero, umano prima e più ancora che accademico, di Aldo Carri, esempio di vita e maestro. Ma hanno influito anche le radici, l'apporto genetico di quella terra estesa attorno a Treviglio, operosa sempre e un tempo indigente, fiduciosa anche nella fatica e dignitosa persino nella sofferenza.

Immagini impresse nella prima memoria hanno accompagnato Longaretti adulto e pittore e ne hanno contraddistinto brani di tematica e poesia.
La fede di quella terra, una volta roccaforte bianca, e la tenacia della sua gente, nel sole, nella nebbia, nel lavoro, hanno corroborato animo e tavolozza dell'artista negli anni della maturazione e nel consolidamento della personalità
I miraggi di progresso e consumismo si sono tradotti in elementi naturalistici, prospettiva di sogno e di attesa, alimentati dalla semplice religiosità della gente umile. Sole e luna, spesso coniugati e posti al plurale, divengono simboli di ultimo approdo, di felicità da cercare, premio liberatorio al compimento del lungo percorso esistenziale.
Le colline, frequente scenario di sfondo, si ergono morbide senza invadenza ossessiva e si mostrano come profilo di sagoma quasi suggerendo l'idea di oltre chissà, chissà cosa sia e se ci sia qualcosa, forse solo il senso dell'infinito e della quiete, forse solo il silenzio della pace per sempre.
Singoli, in coppia o raccolti in famiglia, i personaggi di Longaretti testimoniano solitudine, avversità e fede.
È realistico il significato delle difficoltà, è esistenziale il ritratto di solitudine ed è intimo il sentimento religioso.
Dagli esordi, da sempre, Longaretti ha delineato temi e poetica della sua pittura offrendo differenti soluzioni formali ma ha mantenuto coerente e costante la propria disposizione d'animo alla vita.
La sorte gli ha concesso soddisfazioni e sicurezze ma nel profondo del suo credo lui non si è sentito molto diverso né distante dalla figura e dall'entità dei suoi personaggi. Il musicante crede nell'arte come lui. Il padre e il nonno nutrono apprensioni analoghe alle sue. L'uomo errante è in cerca della verità, come sempre, come tutti.
Talvolta nel personaggio compare l'autori tratto ed è moto spontaneo, avviene con estrema semplicità perché l'osmosi è naturale. Un tempo la figura di fanciullo era il ritratto del figlio e chissà quante volte affetti e immagini famigliari hanno dipinto la tela.
Il suo popolo di erranti esisteva davvero e ancora sarà, e chissà per quanto, in cammino, in dignitoso silenzio, in cerca d'acqua, pane e cure. Tutto questo, benché poco, se non indice minimo e semplice, si chiama felicità. Termine frequente nei titoli di Longaretti. Ma non si riferisce mai a condizione raggiunta" bensì a traguardo se non miraggio.
Il tema dell'umanità, tuttavia, non è mai svolto nei toni del realismo, tanto meno acceso dalla denuncia o dalla esasperazione della parte politica. Prevale, anzi invade, il sentimento palese della malinconia, partecipe e accorato ma non retorico perché una luce di sopravvivenza, morale ancor prima che fisica, anima sempre i personaggi.
Non esiste commiserazione e la misura della testimonianza non è mai distacco. Anzi si riconosce immediata la partecipazione dell'artista, quasi l'immagine dipinta non originasse dall'esterno ma dalle anse dell'animo.
È nitido e chiaro come la mano non sia mai dissociata dall'indole del pittore.
Quelle figure erranti vagavano nelle campagne degli anni Trenta quando Longaretti giovane percorreva in treno ogni giorno la strada degli studi a Milano. Senza attingere a memorie lontane, quelle immagini erano brani della società dei padri e dei nonni, istantanee ancora impresse nel ricordo di molti, ripetute all'infinito,un tempo nelle nostre regioni e ora nelle terre da cui partono i viaggi della speranza alla ricerca di un lavoro, di un reddito e di un tetto.
La traduzione poetica di Longaretti ha astratto ogni connotazione realistica, dipingendo senza nome città e territori, epoche e costumi. Sola eccezione, in questo universo anonimo e apolide, è la caratterizzazione ebraica ricorrente nel tempo.
Frequente e intensa tanto da indurre a ritenere un'appartenenza di Longaretti. E si tratta invece, ancora una volta, di immedesimazione fantastica, di partecipazione emotiva spontanea e capace di intuizioni profonde. La vicenda storica assume ruolo simbolico e diviene emblema per tutte le popolazioni colpite da analogia di destino.
Anche il carro dei girovaghi o l'organetto dell'ambulante sono bandiere senza patria e radici del mondo, viaggi senza confini, forse persino senza consapevolezza di meta, eppure sono anime di dignità, sono disponibilità al dialogo prima di protendersi a richiesta di considerazione.
Una fede indomita, e non è detto debba trattarsi sicuramente di credo religioso, anima i personaggi di Longaretti.
Esiste la componente della preghiera ma aleggia anche un grande senso della fantasia, del sogno liberatorio, della libertà di spirito.
La famiglia in cammino non è estenuata dalla stanchezza e dalle difficoltà; il bambino in groppa non èaffranto dal camminare scalzo, pare anzi sereno nel gioco del viaggio sulle spalle; e le sagome in prospettiva lungo un percorso senza fine non sono derelitte ma procedono con compostezza.
Giocoliere e funambolo, arlecchino e pagliaccio, animano la metafora del gioco circense, divagano e divertono, alimentano il sogno, nutrono la speranza; e non potrebbero se laggiù esistesse solo disperazione.
Spesso si dice che la pittura di Longaretti sia triste. Definizione affrettata e superficiale, dettata anche dal comune senso di paura della responsabilità e di ossessione del vero. Si potrebbe invece definire ottimismo la fiducia nell'uomo, nella rigenerante risorsa della dignità, nella capacità di accogliere ed elevare i valori più semplici.

La sacralità della pittura di Longaretti risulta criticamente poco evidenziata nonostante si sia detto molto della sua Arte Sacra.
Quel senso intimo e interiore che pervade animo e tavolozza, quella pietas di sentimento che illumina i suoi personaggi e che potrebbe intitolare Madonna molte delle sue madri, oppure Cristo uno dei suoi viandanti.
Il senso della transizione umana e la vastità dell'immanenza, il precario e l'incombenza dell'eterno animano temi e poetica di Longaretti nella coerenza di un percorso esemplare. Permane negli anni una rara intensità pur differentemente intonata a riprova di continuità lirica e dinamica partecipazione emotiva.
Nello scorrere del tempo, la pittura di Longaretti palesa stati d'animo e motivi interiori, testimoniando oltre l'artista la sensibilità della persona.
Il quadro diviene costante o almeno frequente riflesso dell'uomo Longaretti, mai dimentico di rapportarsi ai motivi superiori della vita.
Si ravvedono nella pittura i giorni grigi e il riapparire del sole, l'indole e il diagramma dell'esistenza, i momenti di riflessione profonda e il ritorno della fiducia. Si percepisce la lettura intima del mondo e la percezione dei perché che lo avvolgono.
Si comprende che la sua pittura non è racconto o cronaca di un evento ma metafora di un universo di comune appartenenza.
Il tono letterario, quasi favolistico nell'abolizione del tempo, nei dettagli senza età, non tende a edulcorare senso e dato di realtà ma assume invece quello spirito di verità che risuona nelle testimonianze della tradizione, nelle storie narrate, nelle pagine di famiglia.
Come spiegare la storia del mondo e da lì comprenderne anche il futuro, indicando le cadute del passato per ammonire domani. E leggere i giorni oscuri senza accendere mai una fiamma di violenza, anzi dissipando ogni animosità per seminare benevolenza in luogo di antagonismo.
Sino a proporre la serenità come traguardo di pacatezza interiore. Una serenità vasta come i suoi paesaggi quando sovrastano ma accolgono le figure, quando l'atmosfera incombe sull'umanità ma pare proteggerla e non insidiarla.
Serenità nel sentimento, nel gesto, nel piacere creativo di una quotidianità che non è rituale ma continua scoperta, nella convinzione di apprendere e proporre ogni giorno, senza interrompere il dialogo che è fondamento umano e civile di convivenza sociale.

Biografia

Nasce a Treviglio nel 1916. Conclusi gli studi preliminari, frequenta il Liceo Artistico di Brera a Milano. Conseguito il diploma liceale, si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e all'Accademia di Brera.
Opta definitivamente per l'Accademia.
È allievo di Aldo Carpi, maestro di qualità unanime mente riconosciute. Tra maestro e allievo si instaura, e cresce nel tempo, un rapporto morale e affettivo di inscindibile reciprocità. Compagni di corso sono Cassinari, Bergolli, Badodi, Morlotti, Dobrzansky, Valenti, Kodra.
Manifesta doti di personalità matura e autonoma sin dagli anni d'Accademia: testimonianze di Carpi, Morlotti, Carrà, Piovene.
Inizia ad esporre nel '36, partecipando ai «Littoriali dell'Arte» e a mostre collettive a Milano, Genova e Bergamo. Nel '39 vince il Premio Mylius e il Premio Stanga. Frequenta l'ambito di «Corrente», partecipa e assimila le esperienze dei protagonisti, Guttuso, Morlotti, Birolli, Sassu, Vedova.
Conclusi nel '39 gli studi all'Accademia di Brera, è chiamato alle armi e inviato in Slovenia, Sicilia e Albania.
Nel '42 è invitato alla Biennale di Venezia e, nello stesso anno, partecipa alla «Mostra degli Artisti in armi» a Roma, Palazzo delle Esposizioni.
Esordisce in mostra personale nel '43 a Bergamo, Galleria la Rotonda, con presentazione in catalogo di Raffaello Giolli.
Nel '45 riprende l'attività artistica, si dedica alla realizzazione d'opere d'arte sacra e all'insegnamento. Nel '48, nel '50 e nuovamente nel '56 partecipa alla Biennale di Venezia. Nel '52 è invitato alla Quadriennale Nazionale di Roma. Nel '53 vince il Concorso nazionale per la Direzione dell'Accademia Carrara di Bergamo e relativa Cattedra di Pittura. Succede in carica a Achille Funi.
Dirige l'Accademia nell'arco di venticinque anni e spontaneamente lascia l'incarico nel '78.
Coniuga l'intensità di impegno nell'attività didattica alla libera professione, realizza importanti opere d'arte sacra conservate in Vaticano, nel Duomo di Milano, nella Basilica di Sant'Ambrogio in Milano, nel Duomo di Novara, nella Galleria d'Arte Sacra Contemporanea in Milano, in molte Chiese e Istituzioni in Italia e all'estero.
È invitato ad allestire mostre personali e antologiche in Musei e Istituzioni di grande rilievo in Italia e all'estero.
Sue opere sono conservate presso musei ed enti pubblici in Milano, Galleria d'Arte Moderna, Museo della Permanente, Gallarate, Galleria d'Arte Moderna, Piacenza, Galleria Ricci Oddi, Bergamo, Pinacoteca Carrara, Treviglio, Museo Civico, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Basilea, Museo d'Arte Moderna, Hamilton, Galleria d'Arte Moderna.
La rassegna stampa inerente articoli e saggi a lui riferiti decorre dal 1935 e prosegue con continuità. Numerosi i volumi monografici e di analisi critica dedicati, a partire dal 1958, alla sua attività.

Aldo Bottoli

Un pittore bozzolese tra realismo e quotidianità
a cura di Simone Fappanni
Mostra antologica. Bozzolo, Chiesa di San Francesco (17 settembre - 8 ottobre 2006)

Introduzione

Piergiorgio Mussini Sindaco
Giuseppe Valentini Assessore alla Cultura

A conclusione della Rassegna Internazionale d'Arte Città di Bozzolo, edizione 2005, seconda biennale "Don Primo Mazzolari", ci eravamo riproposti di mantenere vivo l'interesse verso questa manifestazione dedicando l'anno intermedio al recupero e alla ricerca delle tradizioni artistiche che tanto hanno arricchito la nostra Comunità.
L'occasione propizia si è presentata quando il gruppo degli "Amici del Premio d'Arte Città di Bozzolo" ha proposto all'Amministrazione Comunale e al Comitato Tecnico-Scientifico del Premio di dedicare al prof. Aldo Bottoli una mostra antologica per rendere un doveroso omaggio a questo benemerito concittadino che, pur nella sua breve vita, ha lasciato un segno importante nel panorama artistico bozzolese.
Valido disegnatore, pittore, restauratore e decoratore, ha avuto soprattutto il grande merito di aprire la sua "bottega" agli amici e agli appassionati, trasformandola in una scuola dove molti giovani allievi hanno potuto coltivare la loro passione per la pittura in un ambiente intriso di alti valori morali. Riversando in essa la sua passione verso l'insegnamento, riuscì a dare un grande impulso alla formazione di una tradizione artistica locale di cui ancora oggi si vedono i frutti.
Scomparso prematuramente nel 1951, a soli quarantasei anni, non riuscì a portare a piena maturazione i suoi indubbi talenti artistici, ma molte delle sue opere, custodite gelosamente nelle case di molti bozzolesi, ne sono la più viva testimonianza.
Nell'individuazione delle opere da selezionare per l'esposizione che qui si presenta, l'Amministrazione è stata favorita dalla collaborazione delle famiglie Bottoli, in particolare del figlio dell'artista, Angelo, e dai numerosi amici e conoscenti dell'artista che hanno messo a disposizione quanto in loro possesso e ai quali va il nostro grazie.
Si deve poi alla passione del curatore, il dottor Simone Fappanni, la ricostruzione meticolosa del percorso dell'artista, collegato al realismo e alla quotidianità di un preciso momento storico.
La nostra riconoscenza va anche all' Assessore alle Culture, Identità e Autonomie della Regione Lombardia per la concessione del Patrocinio, alla Parrocchia di San Pietro Apostolo per aver concesso la disponibilità della chiesa palatina di San Francesco come sede della mostra, al Gruppo Culturale "Per Bozzolo", all'Associazione Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani, al Comune di Mantova; agli sponsor che sempre credono nella opportunità di sostenere proposte culturali valide nell'interesse di tutti i cittadini, e a quanti si sono prodigati per la buona riuscita dell'iniziativa.

Ricordo

di Mario Pecchioni

Era il luglio dell'anno 1932 ed io entravo nello studio del prof. Aldo Bottoli, avevo allora dodici anni e avendo buona disposizione per il disegno iniziavo sotto la guida del professore l'apprendimento delle tecniche disegnative.
Lo studio di Via Giacomo Leopardi era ampio, ben illuminato, con affissi alle pareti grandi fogli di carta da "spolvero" con disegni a carboncino di figure in stile classico e studi d'anatomia per artisti.
Nel centro su di un alto cavalletto era collocato il ritratto di Mons. Bonfiglio Senti, Arciprete in Bozzolo (fig. 28). Coloro che conobbero in vita il prelato affermavano che l'artista aveva raggiunto nel dipinto un notevole risultato fisionomico unitamente ad un'intensità psicologica espressa dallo sguardo che, pur severo, si accende di bonomia. La forma della figura rifugge dal gelido stilismo aulico che attiene alla ritrattistica ufficiale; qui la forma asserve la statura morale del prelato per l'impaginazione geometrica delle contrapposte zone tonali.
Il quadro era oggetto d'assidua attenzione del Vicario don Baldocchi che spesse volte veniva nello studio ed interveniva perché si apportassero al dipinto modifiche in ordine ai colori che a suo giudizio differivano dalla realtà.
Chiaramente gli interventi del Vicario non erano graditi al professore che con malcelato disappunto operava i ritocchi ritenuti di manifesta futilità. Venne il giorno che il quadro, coperto da un drappo, fu portato via dallo studio per essere sistemato nella sacrestia della Chiesa parrocchiale assieme alle effigi dei suoi predecessori.
Partito il dipinto sembrò che la luce intensa invadesse lo studio da ogni parte. Il professore era rientrato e per brevi istanti sostò davanti al cavalletto vuoto poi con rapida decisione si diresse verso un angolo dello studio dove giaceva da tempo una piccola tela bianca, la mise sul cavalletto e brandendo tavolozza e pennello con intensità eccitata si mise a dipingere.
Vedevo emerge sulla tela le forme delicate di una natura morta: credo che dipingesse l'immagine di un suo ricordo purificato di realtà.
Non ebbi la percezione esatta del tempo impiegato per il lavoro, i colori chiari velati avevano dato forma a due mele e ad un racimolo d'uva dagli acini nero-blu; il tutto si concretizzava nella stesura coloristica fattasi fluida e luminosa, vero saggio breve di poesia pittorica.
Finito che ebbe il dipinto, il professore si volse verso di me, seguirono momenti d'ineffabile silenzio...eravamo penetrati nei luoghi incantati della Pittura. (Bozzolo, 7 giugno 2006)

Pennellate di gioia, di speranza e di realtà

di Francesco Boselli Presidente dell' Associazione Amici del Premio Internazionale d'Arte Città di Bozzolo

L' Associazione Amici del Premio Internazionale d'Arte Città di Bozzolo propone, per questo anno intermedio di biennale, una rassegna antologica dedicata ad un artista bozzolese: il pittore Aldo Bottoli, nato a Bozzolo nel 1905 ed improvvisamente deceduto nel 1951 a soli quarantasei anni di età.
La mostra viene realizzata nella prestigiosa Chiesa palatina di San Francesco, fatta edificare nel 1600 da Giulio Cesare Gonzaga appena diventato primo principe di Bozzolo.
L'edificio sacro è di proprietà della Parrocchia di Bozzolo e continua ad essere adibito al culto; dopo il recente ed ammirevole restauro, vi si svolgono anche adeguate attività culturali in una cornice altamente pregevole.
L'Associazione ringrazia la Parrocchia e l'Amministrazione Comunale di Bozzolo per la cortese collaborazione e gentile disponibilità.
Certamente quando Don Primo Mazzolari, in quel lontano 23 settembre 1955, nella Chiesa di San Pietro, rivolgendosi ad un folto gruppo di artisti, affermava che anche «la bellezza dell' arte diventa uno degli strumenti più adatti per aiutare il popolo a salire e comprendere» voleva farci capire che talvolta le figure e le pennellate di colore che escono dalla mente dell' artista sono la "gioia" di vivere e rappresentano comunque ottimismo e speranza.
In quell' anno Aldo Bottoli non era più in vita, ma avendo frequentato fin da giovane l'oratorio parrocchiale, aveva già colto il pensiero ed il significato di quella riflessione di Don Primo.
La breve storia personale del pittore Aldo Bottoli non fu certamente coronata da una vita facile. La sua vocazione artistica sbocciò in gioventù: aveva iniziato a disegnare e dipingere fin da ragazzo riversando sulla tela i suoi entusiasmi giovanili esprimendo, attraverso tenui colori, la meraviglia che il suo animo sensibile sapeva provare davanti alle bellezze della natura, del suo paese, della sua gente e dei suoi cari.
Aldo Bottoli fu certamente un artista e come tale, per il suo carattere dimostrato attraverso i suoi dipinti, ne doveva essere senz' altro orgoglioso; per lui, il suo paese non poteva rappresentare solamente un luogo geografico, ma anche e soprattutto un luogo dello spirito dove la vita e la famiglia hanno un posto significativo. Dopo aver brillantemente superato i corsi dell' Accademia di Belle Arti di Brera, nel 1925 prestò servizio militare nel 1° Reggimento Granatieri di Sardegna in Roma dove ebbe modo di farsi notare ed apprezzare dai suoi superiori. Durante il servizio militare partecipò ad un concorso indetto dalla Regina Margherita riservato ai giovani artisti alle armi. Il premio, oltre ad esprimere un valido riconoscimento, dava al vincitore anche il diritto ad un anno di studio completamente gratuito presso un qualificato Istituto d'Arte della Capitale.
Ebbene, il giovane artista Aldo Bottoli si classificò al primo posto, ma purtroppo, in segno di lutto per la morte della Regina, avvenuta nel 1926, il premio venne cancellato e mai più assegnato! Terminato il servizio militare, Aldo Bottoli rimase comunque a Roma per un breve periodo adattandosi ad eseguire anche lavori manuali pur di frequentare alcuni ambienti e studi di noti artisti.
Rientrato in Bozzolo si dedicò all'insegnamento prima presso l'Istituto Agrario di Remedello e poi presso l'Avviamento Commerciale di Bozzolo. Si sposò nel 1939 con la bozzolese Luigina Agosta e dal matrimonio nacquero i figli Antonio ed Angelo. A questo punto era diventato per lui necessario stabilire una scala di valori e sul primo scalino vi pose la Famiglia. Erano gli anni della seconda guerra mondiale, anni di assoluta povertà, miseria, restrizioni e lutti.
Il valore della sopravvivenza e del pane quotidiano superavano talvolta la passione per l'espressione artistica tanto che fu costretto a seguire anche una attività artigianale quale restauratore di dipinti antichi e decoratore nelle Chiese.
Purtroppo dovette anche chinarsi di fronte alle volontà e richieste di un mercato d'arte rivelandosi un abilissimo imitatore del Guardi o del Canaletto. Infatti, in quegli anni non c'era la giusta mentalità per l'arte: essa era riservata a pochi e la popolazione dei centri rurali era convinta che il tempo dedicato all'arte fosse tempo perso! Ma per Aldo Bottoli l'arte era vita, speranza e quotidianità. Non vi è alcun dubbio, davanti alle sue opere, ammirando la sua capacità espressiva, traspaiono con immediatezza i sentimenti interiori di un uomo in cui predomina il culto della famiglia, della casa e della sua gente. All' artista piace anche ricordare i luoghi del Garda o delle montagne bresciane ove ha potuto trascorrere momenti di serenità e di gioia con i suoi figli.
Dipinse quasi esclusivamente per necessità e certamente non fu per lui una scelta facile anche se era spinto dagli apprezzamenti e giudizi favorevoli delle persone amiche.
Dopo aver dedicato la sua breve esistenza alla Famiglia ed all' Arte, morì improvvisamente ancora in giovane età lasciandoci una testimonianza artistica di pregevole valore. Oggi, tutti noi appartenenti alla Comunità Bozzolese dobbiamo essere fieri e riconoscere al nostro Concittadino i suoi elevati meriti per aver scritto sulle tele la storia personale che era allora quella di ogni famiglia della nostra terra.

Aldo Bottoli fra realismo e quotidianità

di Simone Fappanni Curatore della Mostra

1. Introduzione

La scoperta e la valorizzazione di artisti locali scomparsi ha senso se in essi si possono ravvisare i tratti distintivi di una poetica creativa dalla sicura intonazione personale; una poetica in grado di coinvolgere per la profondità del linguaggio espressivo e per il legame con la comunità di appartenenza. Sono questi i requisiti di fondo che hanno determinato la scelta di ricordare la figura del pittore bozzolese Aldo Bottoli (1905 - 1951) con una mostra antologica di taglio prevalentemente tematico.
Occorre infatti osservare, in prima istanza, che il percorso creativo di questo autore, morto a soli quarantasei anni, certamente si caratterizza per una linea espressiva piuttosto evidente e continua, che spazia dagli affetti familiari ai paesaggi, dall' arte sacra alle composizioni naturamortiste e floreali, senza dimenticare lavori ispirati al Guardi e al Magnasco. Ciò che più emerge, però, non è l'eterogeneità, peraltro in gran parte soltanto apparente, che caratterizza la sua quadreria, quanto la vocazione meta-rappresentativa che la contraddistingue, ovvero quella prossimità, mentale e ideale, fra il soggetto e la raffigurazione che ne viene offerta.
La pittura di Aldo Bottoli risulta così un' arte senza pentimenti, lontana da concessioni puramente decorativiste, tesa alla riproposizione del "vero" attraverso una cifra squisitamente poetica.
Anzi, pare di potere affermare, con una certa sicurezza, che la vicinanza affettiva dell' artista a ciò che dipinge risulta la chiave di volta per cercare di accostare, in una corretta dimensione, la produzione di questo originale creativo. Renzo Margonari, nelle pagine del Quadrante Padano, ha scritto: "se la sua iconografia è limitata, non lo erano di certo i suoi mezzi espressivi; dunque si tratta di una scelta per le piccole cose. Il colore è sempre "tenuto" con un' attenzione e un calibro che non sono mai esercizio di bravura; non c'è esibizione di abilità, ma si sentono come un risultato di un intimismo meditato, della naturale modestia e semplicità dell'uomo, ed anche di una serenità inalterabile, di un ordine interiore filosofico". (Renzo Margonari, Aldo Bottoli, pittore in Bozzolo, in Quadrante Padano, giugno 1988, pp. 47-48).
Una consonanza, fra l'essere uomo e l'essere artista, che si esplicita nella vocazione di Bottoli verso temi quotidiani, prevalentemente legati al suo vissuto, accanto a quadri eseguiti su commissione, nei quali però traspare un identico impegno realizzativo. Ciò si deduce anche dal fatto che l'artista non procedeva a tentoni, per meri tentativi dall'esito incerto. Nei suoi schizzi, nelle sue grafiche e negli spolveri, questi ultimi in genere preparatori a lavori molto impegnativi per luoghi di culto, si nota uno studio attento e meticoloso, condotto con severità e scrupolo.
Certo, Bottoli aveva, e a ragione, le proprie convinzioni e le proprie idee sul "fare pittura", fra le quali una garbata distanza da quelle sperimentazioni avanguardiste che verso la fine degli anni Cinquanta avevano grande presa sulle giovani generazioni di pittori, preferendo rimanere serenamente fedele a un realismo tradizionale in cui si riconosceva pienamente. Autorevoli testimonianze confermano la sua lontananza anche da maestri europei come Chagall e Renoir e, a nostro avviso, una certa propensione per una pittura misuratamente orientata a canoni estetici di derivazione tardo ottocentesca, anche se, occorre precisarlo, specie attraverso l'osservazione dei quadri di alcuni artisti coevi, il pittore bozzolese ha quasi certamente accettato una visione meno classicheggiante.

2. Dalla campagna alle zone montane

L'itinerario espositivo si apre con un olio di formato assai contenuto (com'è, in senso più esteso, tutta la produzione di Bottoli, tranne qualche rara eccezione) che raffigura la Strada per Romprezzagno (fig. 1), appena prima del ponte. L'opera può essere datata, con buona approssimazione, fra il 1925 e il 1930 circa, ed è certamente uno dei primi lavori dell' artista. Il taglio prospettico è veramente sorprendente, tanto che si ha immediatamente l'impressione di uno spazio che si ampia a perdita d'occhio. Da sottolineare è poi la particolare declinazione dei verdi, su cui si basa l'intera tavola. Il maestro Violi diceva: «volete giudicare un pittore? Guardate come tratta i verdi». In effetti, il nostro artista pare davvero in grado di articolare una perfetta declinazione armonica di questa tinta, conferendo all'insieme una sottile freschezza.
Questo stesso colore si pone a fondamento di altri lavori, egualmente interessanti, specie per la notevole valenza essenzializzante. È il caso dello scorcio di Tignale (fig. 2), eseguito attorno al 1950. Un cancello metallico aperto lascia intravedere i vasi di fiori in un giardino dietro ai quali si apre la campagna fino quasi ai piedi delle montagne. Tuttavia, mentre queste ultime sono rese con colori piuttosto scuri, il resto della composizione è attraversato da una intensa luce che rischiara le tinte, iniziando da ciò che sta più vicino al piano d'osservazione. Identica concertazione luministica si nota anche in molti paesaggi, come ad esempio La fonte (fig. 3), in cui è rappresentata la casa di Bovegno, dove i Bottoli si trovavano in vacanza nel 1949. Un grande albero, sotto il quale sono poste due figure femminili, tratteggiate con veloci tocchi di pennello, cela in parte la vista del rustico, che però cattura l'attenzione dell' osservatore per la particolare strutturazione geometrica che, singolarmente, un po' ricorda quella dei monti che si trovano sullo sfondo.
Profondità prospettica ed equilibrio compositivo si palesano anche nella tavola dal titolo Via Castello a Bozzolo
(fig. 4). A destra si ammira una fitta serie di alberi, definiti con piccole toccature, mentre a sinistra si aprono i profili delle case, dalle tinte alquanto corpose. La strada è attraversata da una donna che pare lentamente avvicinarsi ad altre, in secondo piano. Curiosamente, a destra dell' osservatore, quasi nascosto dalla vegetazione, è stato inserito un cane di media taglia. Il tutto, però, pare procedere verso un lontanissimo punto di fuga.
Ugualmente riuscita appare la tavola Cortile e orto della Chiesa di San Pietro a Bozzolo (fig. 5). In questo quadro, però, l'atmosfera è alquanto livida, con i grigi che si mescolano ai verdi e gli alberi desolatamente spogli, accanto ad altri, ancora in parte ricoperti di foglie, individuano con precisione il momento di passaggio fra l'autunno e l'inverno. Da non dimenticare, sempre fra gli scorci bozzolesi, anche Tramonto (fig. 6) e Palazzo del Principe Scipione Gonzaga in Bozzolo - Interno delle Scuole Medie (fig. 7).

3. Memorie del Lago di Garda

Il Lago di Garda è un altro soggetto a cui il pittore ha dedicato attenzione. Due pezzi, in particolare, risultano assolutamente efficaci nella resa delle acque di questo bacino lacustre che è spesso animato da venti talvolta anche impetuosi, fra cui il Suer, e che ha impressionato, com'è abbastanza noto, anche Virgilio, che nel secondo libro delle Georgiche ha scritto: «An mare, quod supra, memorem, quoque adluit infra? Anne lacus tantos? Te, Lari maxime, teque, fluctibus et fremitu adsurgens Benace marino?» (vv.158-160).
La prima tavola, intitolata Scorcio del Lago di Garda (fig. 8), è sviluppata secondo una articolazione disegnativa che segna appena i tratti essenziali dei rilievi e dell' orizzonte, mentre tutto quanto è affidato al colore, impastato con notevole evidenza nella parte dedicata all' acqua, mentre risulta più libero in quella che delinea un cielo ceruleo contrappuntato da nuvole biancastre.
Nel secondo dipinto, invece, viene raffigurato il piccolo molo di Maderno (fig. 9). La scena è illuminata da una tiepida luce aurorale che produce infiniti riflessi sulla superficie del lago solcata da una solitaria imbarcazione a vela che accentua una sensazione vagamente nostalgica, se non proprio malinconica, che deriva guardando l'intera banchina e la strada attigua completamente deserte.

4. Il fascino delle nature morte e delle composizioni floreali

Una parte assai cospicua della produzione di Aldo Bottoli è espressamente dedicata alle nature morte e alle composizioni floreali.
Pare abbastanza verosimile che il pittore abbia voluto eseguire soggetti naturamortisti ispirati a quadri antichi, tant' è vero che si ravvisano persino echi vagamente fiamminghi e tardo ottocenteschi, sia eseguendo composizioni proprie. Fra le opere di maggiore rilievo ricordiamo quelle in cui compaiono i cachi, resi con notevole dovizia dall' artista e inseriti in diversi dipinti, fra cui i significativi oli intitolati, rispettivamente: Cachi (fig. 10) e Cachi con vaso e brocca (fig. 11).
In una terza, importante composizione, Cachi e frutta (fig. 12), il pittore pone in evidenza questi frutti, dipinti con inconsueta "libertà" formale.
Pennellate che sembrano decisi tocchi che danno origine a una materia corposa e solida che pare volersi inglobare perfettamente con lo sfondo e farsi tutt'una con essa, in un evidente gioco di volumi. Questo dipinto è, con ragionevole certezza, il punto di sperimentazione più "estremo" - se di estremità si può parlare di questo autore così appassionatamente legato, come già si è detto, alla più alta tradizione realista - del Bottoli, in cui cioè si svincola da una rappresentazione schiettamente raffigurativa per lambire una deframmentazione tonale che genera una sorta di sommovimento osmotico. Certo, i contorni dei frutti sono resi sempre con chiarezza, ma le tinte sono applicate con una stesura alquanto dinamica e decisa.
L'accurato restauro effettuato su una coppia di soggetti di still life, nello specifico Natura morta con farfalla (fig. 13) e Natura morta con uva (fig. 14), permette di apprezzare la sensibilità di tocco con cui sono state eseguite da Bottoli. Inoltre, la preziosità del dettato luministico e la cura riservata anche a dettagli minutissimi, come si può osservare nella resa della farfalla, consentono di ammirare il felice brano paesaggistico che si apre sullo sfondo di entrambe le tele.
Vanno parimenti osservati con scrupolo altri quadri dal preciso equilibrio cromatico e formale che presentano una materia coloristica piuttosto densa e pastosa; ci riferiamo a Natura morta con anfora (fig. 15) e Natura morta con mele, pere, uva e noci (fig. 16).
In questo genere di quadri si può inserire anche l'olio intitolato In cucina (fig. 17), che presenta una borsa in paglia posata su un piano dalla quale fuoriescono alla rinfusa vari ortaggi. Tema classicheggiante, questo, se si pensa che già nel Seicento esistono, come fa notare Alberto Veca in un riuscito volume sulla natura morta, "immagini (...) in cui si distinguono: "l'angolo di cucina", "la colazione", in cui il cibo appare ammassato disordinatamente sulla tavola, e "la tavola imbandita", immagine di parata e rappresentanza" (Alberto Veca, La natura morta, Giunti, Firenze 1999, p.10). Il quadro del Bottoli, con quell' ordinato disordine si passi questa definizione - che lo contraddistingue, viene a configurarsi come un pezzo di assoluta immediatezza. Molto gradevoli sono anche le composizioni floreali, che Aldo ha dipinto con morbidezza di tocco, nelle quali non sfugge, come nel caso degli oli Oleandri (fig. 18) e Anemoni (fig. 19), la volontà di rendere a pieno la freschezza dei vegetali attraverso una scelta timbrico-coloristica molto accurata.

5. Volti e figure

Scrive Joseph Roth in Fuga senza fine: "ci vuole molto tempo prima che le persone trovino la loro faccia. Non sembrano nate col loro viso, la loro fronte, il loro naso, i loro occhi. Acquistano tutto con l'andare del tempo. Ed è una cosa lunga; bisogna avere pazienza...". (Joseph Roth, Fuga senza fine, Adelphi, Milano 1995, p.64) L'interpretazione del volto è dunque una voce rilevante della storia dell' arte, a cominciare dalla ritrattistica sino alle esperienze più recenti, ma è pure una parte del mondo dell' arte che nel corso dei secoli ha subito molteplici evoluzioni: da interpretazioni realiste a informali, da raffigurazioni iper-realiste a traduzioni pittoriche, da letture surrealiste ad altre ancora, di matrice pop, come ad esempio le celebri Marilyn di Andy Warhol.
Aldo Bottoli si confronta con questo soggetto eseguendo oli che rappresentano soprattutto le persone a lui care, a cominciare dal Ritratto di mamma Santina (fig. 20), seduta su una sedia in un interno rischiarato da una flebile luce. Il viso appare sereno e lo sguardo attento al lavoro che sta svolgendo. Davvero riuscita è la serie di dipinti che raffigurano i figli Antonio (fig. 21 e fig. 23) e Angelo (fig. 22 e fig. 24), assieme nell'olio Piccoli artigiani (fig. 25): in primo piano si osserva Antonio, mentre in secondo piano, reso attraverso un intenso effetto simile a una rarefatta dissolvenza, Angelo, ma anche quello del farmacista Pino Foggia, detto "Pén" (fig. 26).
Fra questi pezzi quello che più colpisce è quello intitolato Piccolo artista (fig. 27), che ha come protagonista Angelo in una tenuta alquanto curiosa e desueta.
Ci pare di poter riscontrare una ragguardevole abilità disegnativa, che dà vita a coinvolgenti passaggi chiaroscurali nei quali si svela, poco a poco ma compiutamente, la "tridimensionalità" del soggetto, nel tentativo di coglierne anche la dimensione interiore, pur rispettandone doverosamente la personalità.
Solennità e compostezza raffigurativa si percepiscono nel Ritratto di Monsignor Bonfiglio Senti (Nato a San Marino nel 1872, morto nel 1941, Monsignor Bonfiglio Senti è stato, come si legge nell'epigrafe posta nel campo santo di Bozzolo, "prelato domestico di Sua Santità dal 1920 al 1932. Arciprete degnissimo di Bozzolo dal cimitero di Lusurasco per desiderio di popolo qui trasportato il 14 dicembre 1946 fra noi riposa benedetto e rimpianto" (fig. 28), a cui Bottoli ha lavorato strenuamente cercando di accondiscendere con puntualità alle richieste della committenza: ne è uscito un dipinto raffinato e solido allo stesso tempo - sul retro della tela di legge: "Aldo Bottoli 1933" -
Il crocifisso e un testo sacro in mano, molto probabilmente il messale, sono elementi comuni a un altro dipinto che raffigura un altro sacerdote, Monsignor Leopoldo Mori (Nato a Vitellianae - oggi Viadana - nel 1867, arciprete della comunità bozzolese dal 1905 al 1919, Monsignor Leopoldo Mori è scomparso a Cremona nel 1939) - (fig. 29), la cui personalità spicca intensamente nel quadro del nostro artista.
Vale la pena sottolineare che il pezzo, come annota sul retro l'autore accanto alla sua firma, è stato «eseguito da una fotografia».
Fra i personaggi ritratti, particolarmente noti non solo nel mantovano, spicca senza dubbio la figura di Giuseppe Paccini (Nato a Bozzolo nel 1876, pur privato della vista in tenera età, Giuseppe Paccini e stato un eccellente compositore e un abile organista. Di lui rimangono numerose partiture, fra cui ricordiamo almeno l'opera d'esordio, intitolata Alessandra (1901), con testi di Innocenzo Coppa. Si è spento nel suo paese natale nel 1945. Sulla figura del musicista mantovano cfr. il testo di Maria Teresa Balestreri, Oltre l'ombra. Giuseppe Paccini un musicista da riscoprire, Proloco, Bozzolo 1996, da cui sono stati desunti i dati biografici essenziali qui presentati. Il libro che fra l'altro contiene la riproduzione, a p. 46, del ritratto di Paccini eseguito da Aldo Bottoli proposto nel presente catalogo ed esposto in mostra, riporta, a p. 64, l'iscrizione posta sulla stele che ricorda questo importante artista: «Oltre l'ombra/Vide chiarezze celesti armonie/Che senza dargli fortuna/Ne consolarono la cecità,lOnorando la sua terra/Che ricomponendone la tomba/Ne tramanda la memoria»).
Il celebre musicista si trova seduto al pianoforte con le dita che paiono sollevarsi e abbassarsi sapientemente sulla tastiera. L'espressione pare severa, ma più verosimilmente concentrata sull' esecuzione di un intenso brano. Bottoli, in questo caso, gioca abilmente sul rosa dell'incarnato e delle mani, su cui si posa un lieve fascio luminoso, il bianco del colletto, dei polsini della camicia e dei tasti dello stesso colore dello strumento e, in parallelo, l'abito scuro con gli altri tasti del pianoforte. Dolcezza e soavità si colgono, infine, in una coppia di dipinti che rappresentano due giovani signore dall'incarnato fresco e dall'elaborata acconciatura (fig. 31 e 32).

6. L'osservazione di Francesco Guardi e oltre

Esiste un ciclo di opere ispirate all'opera di Francesco Guardi (1712-1793), autore di suggestivi scorci della Serenissima. All' osservazione di questo maestro si possono infatti riferire un olio intitolato Venezia (fig. 33) che risente, a nostro avviso, dell'influsso di almeno due celebri opere del grande vedutista veneziano. Per lo studio delle imbarcazioni e della postura dei gondolieri, Aldo Bottoli potrebbe avere osservato la tela San Giorgio Maggiore con la Giudecca e la Chiesa delle Zitelle, oggi al Museum of Art di Toledo, unitamente ad altre opere coeve su una tematica affine. Ma soprattutto, per il taglio prospettico, pare ipotizzabile una perspicace analisi della tela La gondola sulla laguna, conservata a Milano presso il Museo Poldi Pezzoli. Di questo straordinario pezzo Antonio Morassi, nel primo dei due volumi che presentano compiutamente il catalogo dell' artista, scrive: «il dipinto, che riflette l'intimo spirito poetico di Francesco Guardi, è indubbiamente una delle opere più suggestive del maestro». Qualche riga dopo aggiunge: "capolavoro del - vedutismo - veneziano settecentesco, antesignano di tanta parte della pittura moderna dell'Ottocento, da Turner a Bonigton, a Monet". (Antonio Morassi, Guardi, vol. 1, Alfieri, Venezia 1984, p.432)
A un' attenta ricognizione non sfugge la capacità di Bottoli nel cogliere, con bella apertura espressiva, l'intensità di questo lavoro, così ricco di passaggi tonali. In particolare, ci sembra che la resa dell' acqua e dello scivolare su di essa dei natanti, a cominciare dalla gondola in primo piano, rendano a pieno la bellezza della città di San Marco. Sempre alla Serenissima è dedicata Venezia, le pescherie (fig. 34), con figure che animano una luminosa composizione. Reminiscenze ed elaborazioni riferibili alla produzione del Guardi è la coppia di quadri intitolata Paesaggi con architetture (fig. 35 e fig. 36). Non sfugge infatti la "ripresa" delle famose tele nelle quali il maestro poneva l'accento su paesaggi contraddistinti da antichi ruderi e piccoli templi, i celebri "Capricci".

7. Arte sacra

Questa traccia d'analisi conduce dIrettamente a un altro tema-guida della produzione di Bottoli, ovvero la ricerca del sacro nella vita di tutti i giorni, specie nella sacralità della persona, della famiglia e di tutti quei valori che stanno alla base di una pregnante convivenza sociale. Accanto alla rappresentazione del Cristo e della Vergine, Bottoli tratteggia, infatti, esempi di devozione quotidiana in cui è facile immedesimarsi. Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera agli artisti, ha scritto: «ogni forma autentica d'arte è, a suo modo, una via d'accesso alla realtà più profonda dell'uomo e del mondo. Come tale, essa costituisce un approccio molto valido all' orizzonte della fede, in cui la vicenda umana trova la sua interpretazione compiuta». (Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, Edizioni Dehoniane, Bologna 1999, p.11) E questo illuminante pensiero pensiamo possa davvero valere anche per il nostro pittore, che oltre ad avere portato a termine diversi affreschi in varie chiese (di cui restano anche diversi spolveri, fra cui una intensa Madonna, fig. 37), è autore di piacevoli tavole nelle quali prevale una ragionata sintassi formale. Alquanto ricco di dettagli ci sembra l'olio intitolato L'altare in San Pietro nel mese di maggio (fig. 38), dove l'interno della chiesa bozzolese viene dipinto con vivo trasporto: la grande Croce e la figura di Maria sembrano persino risplendere grazie a una intensa luce che penetra da destra a sinistra, senza però che vi sia completamente ombra su tutto ciò che si trova in secondo piano. Per concludere questo excursus nella pittura di Bottoli ci sembrano indicate due immagini sacre che raffigurano la Vergine col Bambino. Pur essendo entrambe legate alla classicità, presentano una scelta espressiva alquanto diversa. Nel primo pezzo (fig. 39) si sceglie di rappresentare i due protagonisti del quadro molto vicini, con la Madonna che abbraccia dolcemente il Bambino in un gesto che suggerisce un senso di protezione umanissimo e nello stesso tempo palesa una conclamata spiritualità; mentre nella seconda, La Madonnina (fig. 40), ultima opera dell' artista, rimasta peraltro incompiuta, il Bambino, appena abbozzato, è in piedi davanti alla Madonna che lo sorregge teneramente tenendolo per mano.

Aldo Bottoli e il suo tempo

di Angelo Bottoli
Il presente contributo è apparso in "Sottovoce", periodico della Proloco di Bozzolo, n. 1 (2002) pp. 12-13.

Chi transita per via Dante in Bozzolo può notare, quasi di fronte alla cancellata della Domus Pasotelli; all' altezza del numero civico 17 bis, un portone di legno intagliato in stile liberty e sulla casa attigua, in alto, una santella raffigurante S. Giuseppe: sono le testimonianze lasciate dai Bottoli di via Dante.
Antonio Bottoli (1870-1939), offelino e dulsèr durante l'inverno, stagione morta per le fiere, disegnava, costruiva mobili e intagliava il legno. Intagliò il portone di casa nel 1905 per la nascita di Aldo, la veranda verso il cortile nel 1915 per quella di Roberto e le porte interne per Corinna e Carlo. La casa, ora, è proprietà di Bruno Bonfatti Sabbioni, che ha provveduto a restaurare queste opere in modo eccellente. La santella, che appartiene alla casa di Luigi Penci, fu da lui commissionata a Roberto, ora residente a Maderno, per commemorare il padre Giuseppe (Pinén). Aldo Bottoli, un po' figlio d'arte, si rivelò subito un appassionato e abile disegnatore. Fu una di quelle figure di artisti, pittori, restauratori e disegnatori che la povertà di quel tempo indirizzava anche a lavori artigianali. Fu abilissimo imitatore di pitture d'epoca alla maniera del Guardi, Canaletto e Tiepolo, che insieme al restauro ed alla decorazione di chiese gli permisero di guadagnare il pane per sé e per la propria famiglia. In Bozzolo restaurò le pale dell'Oratorio di S. Francesco e della chiesa della Disciplina, affrescò la cappella di S. Giuseppe in S. Pietro, in uno stile barocco caldo e sereno in armonia con la splendida cornice secentesca, la cappella di S. Francesco in SS. Trinità, insieme al fratello Roberto; dipinse il Cristo sulla facciata della chiesa di Cavallara e la cappella dell'Ospedale militare di Verona. Nel 1939 iniziò la decorazione della chiesa di Sovizzo (Vi), che fu terminata da Roberto nel 1952. Infine dipinse varie santelle in Bozzolo e in Calvisano (Bs).
Aldo frequentò l'Accademia di Brera; nel 1925 era militare nel Reggimento Granatieri di Sardegna a Roma, quando vinse il primo premio con medaglia d'argento indetto dalla Regina Margherita, riservato a concorrenti sotto le armi, che dava diritto a un anno di studio gratuito, ma la Regina morì e il premio fu cancellato. Rimase ugualmente a Roma a studiare e a lavorare per un paio di anni. Al rientro, tramite don Primo, conobbe don Giovanni Calabria, canonizzato di recente, da cui ottenne l'incarico di dipingere la chiesa della Casa Buoni Fanciulli;- venne compensato con una stanza da letto matrimoniale in legno massiccio. In questo periodo ebbe come allievo Mario Pecchioni; anche Amedeo Rossi ebbe modo di frequentare il suo studio nell'ex Tribunale. Si sposò nel 1939 con Luigina Agosta; nel 1940 nacque Antonio e nel 1942 Angelo. Solo Antonio ereditò dal padre la passione per la pittura: iniziò a dipingere all' età di 25/30 anni, dopo essersi laureato in Lettere, ottenendo vari consensi: nel 1976 il 2° premio alla estemporanea di Casalromano, nel 1976/77 il 2° premio acquisto Enal, nel 1977 fu premiato a Sabbioneta e a Rivarolo Mantovano, nel 1978 ad Acquanegra e a Viadana, nel 1979 ebbe il l° premio del concorso Mantua. Morì nel 1982. Il fratello di Aldo, Roberto, dopo aver frequentato il "Toschi" a Parma, fu insegnante di disegno, abile pittore, ritrattista e restauratore. Attualmente ha la sua Bottega d'arte in Maderno. Tutti i suoi figli, Aldo, Maria Grazia e Andrea, hanno frequentato l'Istituto d'Arte di Guidizzolo, ma solo Andrea si è dedicato in modo totale alla pittura: è madonnaro per passione e alle Grazie ha dipinto per il Papa, ma le sue opere volano ben più in alto.
Ritornando ad Aldo Bottoli, ricordiamo l'amicizia e la collaborazione con Mario Moretti Foggia, uno dei più illustri pittori mantovani, fratello del "Pén" Foggia, farmacista in Bozzolo. Aldo restaurava, per pochi soldi, quadri d'epoca, che Moretti Foggia gli portava da Milano: una volta gli accadrà di essere pagato con un gatto, splendido e dotato di un aristocratico pedigree, che fu chiamato Moretti, diventò compagno di giochi dei figli e fu raffigurato insieme a loro nei rispettivi ritratti.
Della collaborazione con Mario Moretti Foggia rimangono le tracce nella pala della Cappella della Madonna del Faita: mentre Aldo per il volto della Madonna si ispirò al viso della moglie, i gigli ai piedi della pala furono dipinti dal pittore milanese. In quel periodo Aldo frequentava l'Oratorio; imparò a suonare il violino e fece parte del l'orchestrina di dilettanti, tutti allievi del Maestro Paccini, che accompagnava le recite: Giuseppe Chiribella, "Giuanén" Rosa, Rinaldo Zangrossi e Giuseppe Pancera, poi emigrato in Brasile. Fece un ritratto del Maestro, ora proprietà della famiglia Zangrossi di via Matteotti; dipinse pure un ritratto di don Bonfiglio Senti per la collezione dei ritratti degli Arcipreti, esistente nella sagrestia di S. Pietro.
Durante la seconda guerra mondiale, l'Oratorio, sotto la guida di don Primo, pubblicò un giornalino ciclostilato da inviare ai bozzolesi sotto le armi; i testi erano illustrati con le caricature dei personaggi più popolari del paese, fatte da Roberto.
Appena terminata la guerra, Aldo e Roberto, tramite l'antiquario gardesano Cantoni, furono chiamati a restaurare una serie di tele, che i tedeschi avevano concentrato a Maderno, nel palazzo del conte Benoni, senza riuscire poi a trasferirle in Germania. Il lavoro durò due anni e permise a Roberto di conoscere e sposare la figlia di Cantoni, rimanendo a Maderno. Aldo ritornò a Bozzolo, alla famiglia e alla scuola: aveva cominciato ad insegnare prima all'Istituto Agrario di Remedello, poi all' Avviamento Commerciale di Bozzolo. Giovanni Ghidorsi lo ricorda ancora come insegnante di disegno nelle Scuole Serali per artigiani. Morì improvvisamente nel 1951.
La Scuola Serale Artigiana" Sergio Arini" e un gruppo di amici, fra cui l'ing. Stefano Casalini e il P.I. Amedeo Rossi, lo ricordarono organizzando subito una mostra postuma, che presentò 58 opere, per la quale don Mazzolari dettò una breve ma intensa introduzione: «Ci muove l'amicizia, che intende onorare una nobile figura tanto cara a tutti i bozzolesi e nel contempo vogliamo soddisfare a un desiderio di Lui, rimasto incompiuto per la sua pudica timidezza e di quel suo continuo scontento, che è la nota di un vero travaglio artistico...Se le
dure necessità del pane quotidiano non l'avessero costretto a fatiche quasi manovali, se il poco buon gusto dei clienti non l'avesse distolto dalla vera vocazione, se la salute non gli fosse stata avara e la morte non l'avesse sorpreso mentre stava maturando la sua personalità artistica, questa Mostra non sarebbe soltanto una promessa, ma un documento d'arte onesta e viva. In certe sue impressioni già s'affaccia, con la novità del sentire, l'originalità del tradurre, riuscendo a far vivere angoli e momenti del nostro piccolo mondo bozzolese, che muore perché pochi lo sanno guardare con l'occhio innamorato di Aldo Bottoli (...) un puro di cuore (...) che aveva scelto la sua strada. Il costo gli toglieva la gioia del camminare, non la certezza». In seguito, le sue opere trovarono adeguato riconoscimento: furono esposte a Sabbioneta insieme a quelle dei maggiori artisti mantovani del tempo. Alla morte di mio padre avevo solo otto anni e questi ricordi corrispondono al mio bisogno profondo, cresciuto col tempo, di fissare sempre più nel cuore e nella mente il significato delle parole scritte da amici e allievi carissimi sulla sua tomba: Visse per la famiglia, per la scuola, per l'arte.